Le omelie dei Venerdì di Quaresima
2015
I° Venerdì di Quaresima
Omelia del 20/02/2015 - Monsignor Gino Biagini (Is 58, 1-9;
Sal 50; Mt 9, 14-15)
Torniamo oggi brevemente sul digiuno, il digiuno
quaresimale. Ne abbiamo parlato anche nel mercoledì delle
Ceneri.
Abbiamo detto che nell’insegnamento evangelico ci sono tre
pilastri: l’elemosina, la preghiera e le opere di
mortificazione, di rinuncia, essenzialmente il digiuno. Questi
tre pilastri sono però collegati l’uno all’altro, soprattutto
le opere di penitenza corporali richiedono una coerenza con
l’atteggiamento interiore e quindi con il sentire interiore,
che non siano fini a sé stesse, quindi vuote, puramente
esteriori, perché altrimenti diventano da ipocriti.
Oggi nella prima lettura si tratteggia bene il ritratto di
chi vive una religiosità tutta esteriore e quindi anche
offensiva nei riguardi di Dio e del prossimo.
“Piegare come un giunco il proprio capo, usare il sacco e
cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e
giorno gradito al Signore? Non digiunate più come fate oggi,
così da fare udire in alto il vostro chiasso”.
Ecco quindi una pratica religiosa ridotta a chiasso. Bisogna
avere veramente paura nell’ascoltare queste parole. Bisogna
riflettere dentro di noi per capire che cosa stiamo facendo
nella nostra pratica di devozione, nella nostra pietà. Bisogna
quindi sorvegliare sempre dentro di noi da che cosa nascono
tutte queste iniziative alle quali ci dedichiamo, alle quali
nella Quaresima ci sentiamo doverosamente portati.
Dobbiamo fare qualcosa di più: è un periodo dell’anno intenso,
un tempo così detto forte; ci si ricorda dei quaranta giorni
di digiuno di Gesù nel deserto e quindi anche noi vogliamo
fare qualcosa. Però dobbiamo cercare di essere autentici.
Ecco allora l’insegnamento di Gesù ai discepoli di
Giovanni e dei farisei: i discepoli di Gesù digiuneranno
quando Gesù non sarà più con loro.
“Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e
allora digiuneranno”.
Gesù si paragona allo sposo che è venuto a compiere le
nozze, le nozze con il suo popolo, le nozze spirituali, che
sono le nozze con la Chiesa. Quindi lo sposo è venuto a dare
la vita.
Ora lo sposo ad un certo punto viene tolto, perché in questo
mondo non si vede più anche se c’è; però c’è in un’altra
dimensione, c’è nello spirito.
Ecco allora in questo periodo di assenza dello sposo, noi
siamo chiamati alla vigilanza, sorretti dallo Spirito Santo.
Questa vigilanza, questa attesa, questo desiderio di Lui che
si rinnova centra in giusto modo anche la pratica
penitenziale, che diventa astensione da tutto ciò che il mondo
ci offre e ci condiziona, tutto ciò che ci distoglie da Dio.
Giustamente diceva sant’Agostino, parlando del digiuno
quaresimale, che prima di tutto ci si deve astenere dai
peccati, dalle passioni, da tutto quello cioè che corrompe il
cuore.
Meglio esercitare la buona volontà nel compiere una buona
azione, nell’essere generosi, piuttosto che rinunciare ad una
pietanza. La rinuncia ad una pietanza è un atto minimo
rispetto all’apertura del cuore, rispetto ad un’accoglienza,
rispetto ad una disponibilità vera.
Ecco allora inquadriamo così l’esigenza del digiuno.
L’essere più sobri certo è utile, perché ci aiuta a mettere
l’attenzione su ciò che è veramente essenziale; ci aiuta ad
essere più padroni di noi stessi nella preghiera, non solo del
nostro spirito, ma anche del nostro corpo. Un corpo
appesantito è un corpo che va per conto suo, che si lascia
andare all’indolenza. Dobbiamo invece essere svegli. Quindi la
sobrietà, l’astinenza ed altri atti in tal senso valgono
proprio per questo.
Carissimi, preghiamo lo Spirito Santo in questi giorni in
modo da farci prendere un andamento tale che, una volta preso
questo andamento, possiamo più facilmente tenerlo fino alla
conclusione di questo tempo di quaresima in preparazione della
Pasqua.
Che il Signore ci assista e ci conduca Egli stesso.
(Trascrizione da registrazione)
II° Venerdì di Quaresima
Omelia del 27/02/2015 - Monsignor Gino Biagini (Ez 18,21-28;
Sal 129; Mt 5,20-26)
Una breve riflessione per aiutarci in questo cammino di
Quaresima mi sembra di poterla trarre da queste parole del
Signore, in cui si dice: “Se la vostra giustizia non supererà
quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei
cieli”.
Qui si parla di una giustizia degli scribi e dei farisei e
Gesù chiede una giustizia che supera questa.
Gesù riconosce una giustizia terrena e mostra di non avere
niente in contrario; la conosce là dove parla di qualcuno che
è consegnato al giudice e poi il giudice lo consegna alla
guardia e quindi questo viene messo in prigione, dove deve
scontare una pena fino all’ultimo spicciolo. Non uscirà di
prigione fino all’ultimo spicciolo. Questa è una giustizia
tutta terrena, ma Gesù chiede qualcosa di diverso.
Per capire cosa chiede Gesù, dobbiamo, per un momento
richiamare che cosa era la giustizia degli scribi e dei
farisei in quel tempo. Era una giustizia volta tutta
all’adempimento di norme esteriori, quindi una giustizia
ostentata, mostrata. Vi ricordate il giorno delle ceneri?
Abbiamo sentito Gesù invitare i suoi discepoli a rientrare in
sé stessi al cospetto di Dio e a compiere determinati atti
fondamentali, quali la preghiera, l’elemosina, il digiuno; non
come gli scribi e i farisei che, invece, compivano quelle cose
davanti a tutti e sulle pubbliche piazze, davanti a tutti, per
essere visti.
In questo caso, diceva Gesù, essi facendo questo,
hanno già avuto la loro ricompensa. Però voi entrate nel
segreto della vostra stanza e qui pregate il Padre vostro che
è nei cieli, compite l’elemosina, prima con il cuore e poi con
la mano, digiunate prima con il cuore e poi con la bocca.
Ecco dunque un invito all’autenticità, alla semplicità al
cospetto di Dio. E’ qui il discorso della giustizia. Infatti
Gesù mostra subito cosa intende per una giustizia che non si
limita alla mera lettera: “sta scritto non ucciderai”; bene,
il comandamento è valido, ma Gesù aggiunge “Ma Io vi dico”.
Quindi, in opposizione alla sola lettera, Gesù mette in
evidenza lo spirito che è contenuto nella lettera: “chiunque
si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto a
giudizio”. Perciò non si tratta solo di non uccidere, quindi
di non togliere la vita, ma si tratta della giustizia della
nuova alleanza, cioè anche di non adirarsi, cioè di odiare, di
volere un male che magari noi non siamo in grado di recare
all’altro, però vogliamo che lo abbia.
Voi capite allora cosa significa andare veramente al fondo
del comandamento.
Abbiamo ripetuto nel Salmo: “Perdonaci Signore e noi vivremo”.
Queste parole bisogna intenderle nel vero significato che
hanno: “Perdonaci”, quindi cancella le nostre ingiustizie,
“giustificaci”. Questo vuol dire perdonaci, giustificaci:
facci giusti come tu sei giusto e noi vivremo. Ecco noi
vivremo, perché l’ingiustizia rende morta la nostra anima, la
allontana da Dio, la rende morta alla voce di Dio, mentre,
giustificati, noi viviamo per Dio, quindi viviamo per le opere
di Dio.
“Morti al peccato – dice nella sua lettera ai Romani San
Paolo – voi vivete per la giustizia”. Quindi morti al peccato,
perdonati, giustificati voi vivete per la giustizia di Dio.
Fratelli carissimi, preghiamo e chiediamo allo Spirito
Santo che ci faccia essere giusti secondo l’esigenza
evangelica. Apparentemente è difficile, ma se noi riusciamo ad
entrare nell’azione di Dio per mezzo del suo Santo Spirito,
scopriremo che è possibile e che è anche l’adempimento
perfetto e piacevole della nostra esistenza.
(Trascrizione da registrazione)
III° Venerdì di Quaresima
Omelia del 06/03/2015 - Monsignor Gino Biagini (Gen 37,3-4.
12-13. 17-28; Sal 104 (105); Mt 21, 33-43.45)
Questa parabola raccontata da Gesù e poi anche il suo
insegnamento, dato subito dopo, sono veramente un condensato
della storia di Israele, ma direi più in generale dell’umanità
e della storia anche che stiamo vivendo.
Si parla della vigna e in primo luogo la vigna è il popolo
di Israele, che il Signore ha scelto, ha curato, ha chiamato,
ha colmato di doni con tanta sollecitudine. E poi ci sono
questi contadini a cui viene affidata la vigna e sono i suoi
servi, sono gli Israeliti.
Ci sono i servi che vanno a chiedere il raccolto e sono i
profeti, sono i giudici, sono gli uomini di Dio di cui è piena
la storia di Israele. Il loro trattamento è un trattamento
pessimo: infatti alcuni sono uccisi, altri sono lapidati. I
giusti in Israele hanno fatto questa fine: i profeti sono
morti.
E alla fine il figlio: questo figlio chi è? E’ proprio il
Figlio di Dio. E’ Dio che manda alla fine colui che gli è più
caro, colui nel quale si è compiaciuto.
Abbiamo sentito domenica scorsa: “Questi è il Figlio mio,
l’eletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”. E
proprio questo figlio non viene ascoltato.
Ora la vicenda di questo figlio che viene mandato e poi
viene ucciso è già adombrata nel racconto, bellissimo, della
storia di Giuseppe; di come Giuseppe per invidia è venduto dai
suoi fratelli, salvato soltanto in extremis da Giuda, perché
non lo uccidessero; poi questa storia di Giuseppe parla di lui
che viene salvato dal faraone e da schiavo diventa viceré
dell’Egitto; colui che a sua volta accoglierà i suoi fratelli,
sfamandoli in una carestia.
Vi rimando alla storia di Giuseppe, che potrebbe essere
una bella lettura in questo tempo di Quaresima: un’utile
meditazione.
Fermiamoci su questo Figlio che viene consegnato, viene
portato fuori, cacciato fuori dalla vigna, la sua vigna. Gesù
giunse a Gerusalemme, entrò nel tempio, nel suo tempio, e fu
cacciato fuori dai sacerdoti, proprio da quei sacerdoti che lo
ascoltavano, dai capi e, cacciato fuori, lo uccisero. Infatti
il Calvario, dove fu crocifisso, era fuori la città.
Quindi in questo figlio cacciato noi abbiamo ottenuto la
salvezza. Dio ha voluto sperimentare di essere cacciato, di
essere buttato fuori per poterci dare definitivamente la
salvezza.
Noi vediamo allora nella storia, come l’intervento di Dio,
la Provvidenza, può passare attraverso le esperienze di
maggiore marginalità, chiamiamola così, di estromissione, di
mortificazione di qualcuno.
Ma vediamo come, attraverso queste vicende invece, si fa
largo il disegno divino. Che qualcuno soffra, che un giusto
innocente sia sacrificato è un peccato di cui qualcuno deve
render conto, è anche uno scandalo: “Guai a chiunque
scandalizzerà uno di questi piccoli” dice Gesù.
Ma che ci sia il giusto che soffre è, direi, una necessità
nell’ordine di questo mondo segnato dal peccato. E che un
giusto sia immolato è anche questa una necessità, perché altri
possano diventare giusti.
Riusciamo a meditare su questo punto così importante, così
determinante? “La pietra che i costruttori hanno scartato è
diventata la pietra angolare”, la pietra di fondamento. Ecco,
nell’estromissione del Figlio di Dio, noi otteniamo la
salvezza.
Nella nostra vita, stiamo attenti a non estromettere
nessuno, stiamo attenti ad accogliere generosamente tutti e
cerchiamo di accogliere soprattutto chi in qualche modo
rischia di essere estromesso, forse per motivi ingiusti, forse
per qualche tranquillità personale; ma stiamo molto attenti
perché, nell’accogliere qualcuno che è estromesso, noi
accogliamo un segno della presenza del Signore che ci
interpella, che vuole portarci a portare frutti nella sua
vigna.
Perché la sua vigna si coltiva così: con il sacrificio del
giusto. Il Giusto è Lui.
(Trascrizione
da registrazione)
IV° Venerdì di Quaresima
Omelia del 13/03/2015 - Monsignor Gino Biagini (Os 14,2-10;
Sal 80; Mc 12,28-34)
Il comandamento che il Signore Gesù mette in evidenza,
questo duplice comandamento dell’amore, ci introduce nel
segreto, e direi nel vivo, di ogni rapporto autentico con il
Signore Iddio in Gesù Cristo; perché l’amore che ci è chiesto,
l’amore che costituisce questo comandamento, è l’amore come
risposta all’amore di Dio.
Dice infatti nel Vangelo Gesù: “Non siamo stati noi ad amare
per primi, ma è Dio che ci ha amati per primo, mandando il suo
Figlio.”
Quindi, questa iniziativa d’amore misericordioso suscita in
noi la risposta d’amore.
Non è una risposta lasciata alla nostra esclusiva
decisione, alla nostra esclusiva forza di volontà. Certo
dobbiamo impegnarci; l’amore è anche sacrificio, è quindi
anche offerta senza pensare a un contraccambio sicuro.
Ma, nel caso dell’amore di Dio, c’è anche la forza stessa di
Dio che attrae.
Infatti la conversione a Dio è un movimento che si origina
dall’attrazione stessa di Dio per la sua misericordia, per il
suo affetto.
Noi ci fermiamo un momento a riflettere sulle parole della
prima lettura e consiglierei di meditarle con calma. Si ha un
bell’esempio di come il Signore fa di tutto per attirare a sé
i cuori lontani: “Torna Israele al Signore tuo Dio, perché hai
inciampato nella tua iniquità; preparate le parole da dire e
tornate al Signore”.
Ma è il Signore stesso che suscita queste parole, è il
Signore stesso che mette nel cuore ciò che si deve dire, ciò
che si deve chiedere: “Io li guarirò dalla loro infedeltà, li
amerò profondamente, perché la mia ira si è allontanata da
loro”.
Il Sacrificio di Gesù, la croce di Gesù consiste proprio in questo: nell’aver allontanato l’ira di Dio per sempre da noi.
Perché? Perché Egli ha espiato, perché l’ira di Dio si è
scatenata su di Lui. Sul legno della croce, legno di
maledizione come sta scritto nell’antico testamento:
“Maledetto chi pende dal legno”, l’ira di Dio si è scatenata
proprio su di Lui.
Lui l’ha presa su di sé, sulle sue spalle, sul suo capo; l’ha presa perfino nel suo cuore quando ha sperimentato l’abbandono da parte del Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” gridò proprio sulla croce prima di spirare.
Ecco allora come Dio guarisce la nostra infedeltà: attraverso l’amore. Dietro a questa guarigione, a questo amore, a questa misericordia è possibile una rinascita, un rigoglioso rinnovamento che la scrittura presenta con queste immagini bellissime: “Sarò come rugiada per Israele, fiorirà Israele come un giglio – e, ancora più avanti – avrà la bellezza dell’olivo, la fragranza del Libano, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne” e così via.
Ecco cosa accade dunque in noi quando ci apriamo davvero ad accogliere questa misericordia.
Oggi dobbiamo veramente renderci conto di quanto ne abbiamo
bisogno.
Allora ci ricordiamo anche di alcune parole importanti pronunciate dal Santo Padre Francesco, il quale disse che i cristiani sono peccatori; e bisogna partire da questa realtà.
La chiesa non è fatta prima di tutto di perfetti: è fatta di peccatori; ed il fatto di essere peccatori vuol dire essere consapevoli che solo Dio ci può definitivamente salvare.
Quindi il cristiano, direi riprendendo quelle parole, è un
peccatore consapevole del suo peccato e desideroso di essere
salvato da Dio, quindi umilmente disposto a lasciarsi salvare.
Questo è il cristiano, per questo va in chiesa, per questo si accosta ai sacramenti, per questo prega: perché sa che ha bisogno di Dio. E questo bisogno è costante nella sua vita.
Quindi sentiamo anche in noi il vero bisogno di questa
misericordia, il bisogno di quest’opera della misericordia
divina che ci avvolge, che ci fa sentire dentro una differenza
fondamentale tra l’essere soli, e per di più nel peccato, e
invece l’essere umilmente peccatori nelle mani di Dio.
Dio non ci abbandona: Egli ci vuole sempre risanare.
Affidiamo così questa meditazione allo Spirito Santo, perché risvegli veramente in noi quell’amore che ci ha dato grazie al sacrificio e al cuore del suo Figlio. (Trascrizione da registrazione)
V° Venerdì di Quaresima
Omelia del 20/03/2015 - Monsignor Gino Biagini (Sap 2,1.12-22;
Sal 33; Gv 7,1-2.10.25-30)
Il comportamento di Gesù a Gerusalemme è apparentemente un
po’ strano: prima si allontana dalla città, poi ritorna, quasi
di nascosto, con quelli del suo parentado e con i suoi
discepoli; poi, una volta giunto a Gerusalemme, parla
apertamente nel tempio.
Ecco così la domanda che si fa la gente, quelli che lo
conoscono: forse i nostri capi hanno riconosciuto che egli è
davvero il Cristo?
Il punto fondamentale è quello di chi sia veramente Gesù. Ed
era la domanda ricorrente nei suoi confronti; solo che a molti
di coloro che si ponevano questa domanda mancava la volontà,
mancava la buona disposizione per comprendere Gesù, perché in
realtà non ascoltavano le sue parole. Seguivano il loro
pregiudizio su Gesù e non ascoltavano le parole stesse di
Gesù.
Infatti Gesù dice: “Chi mi ha mandato è veritiero e voi
non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da Lui ed egli
mi ha mandato”. Gesù si riferisce al Padre e Gesù ha detto, in
altri passi, che è venuto a dare testimonianza al Padre,
quello che egli fa lo fa con il Padre e nel Padre.
Addirittura Gesù ha detto: “Faccio quello che ho visto presso
il Padre”.
Noi sappiamo dall’inizio dell’Evangelo secondo san
Giovanni che Gesù è il Verbo, quindi la parola, quindi anche
la sapienza di Dio; e del Verbo si dice che “era Dio e che è
presso Dio”.
Quindi noi non possiamo meravigliarci, nella fede, di
queste parole di Gesù; soltanto chi è incredulo o prevenuto
non le accoglie o non le capisce. D’altra parte il
comportamento di Gesù va compreso in quello che abbiamo
ascoltato nella prima lettura. Perché Gesù è il Giusto, il
Giusto di Dio, colui che rende testimonianza al Padre, quindi
alla sapienza divina. E nei suoi confronti si organizza la
congiura degli empi, dei malvagi, degli invidiosi: è quello
che si chiama il mistero dell’iniquità, perché il Giusto deve
soffrire. Perché nei confronti del giusto si scatena la
tempesta, l’accanimento.
Un giusto di per sé non deve essere ammirato, semmai deve
servire di esempio, ma anche noi forse non siamo disposti a
riconoscere a lodare persone giuste, che riconosciamo tali? Ce
ne vengono proposte tante come modelli. Eppure non è così, non
sempre è così.
C’è il sacrificio del giusto, c’è il sacrificio
dell’innocente e questo si prepara in modo nascosto,
misterioso. Ma talvolta se noi frughiamo un po’ nel nostro
cuore, forse dovremmo anche confessare che nei confronti di
qualche buona e brava persona si sono fatti avanti, sono
saliti sentimenti per esempio di invidia, di una certa
invidia. E’ nel cuore che attecchisce questa opposizione al
giusto, soprattutto quando il giusto ci mette davanti la
verità, soprattutto quando il giusto ci rivela la sapienza
delle cose di Dio.
Allora viene rifiutato. Questo è il destino di Gesù, e
questo è proprio il destino che si compie per Gesù a
Gerusalemme e Gesù questo destino lo asseconda, Attenzione non
se lo prepara, lo asseconda; va di pari passo con l’agire di
coloro che lo perseguitano, di coloro che perfezionano i loro
malvagi consigli. I giudei cercavano di ucciderlo, sono
arrivati a tanto, allora Gesù asseconda le varie circostanze
perché comunque deve compiersi la volontà nell’ora che
giungerà: “non era ancora giunta la sua ora”.
Forse è difficile comprendere questo, quale applicazione
possiamo farne, se un po’ lo comprendiamo.
L’applicazione che io suggerisco è questa: cerchiamo di
vivere nella sapienza di Dio per capire cosa significa essere
giusti davanti a Dio. Giusto davanti a Dio non vuol dire
essere perfetto, ma vuol dire avere il cuore nella sapienza di
Dio, nel sentire di Dio, nel vedere di Dio.
L’altra applicazione che vogliamo fare è questa: c’è sempre
un’ora nella quale qualcosa si deve compiere, che è importante
presso Dio, è importante per noi nella nostra vita, è
importante nella vita della Chiesa, è importante nella vita
del mondo; solo che noi spesso non conosciamo quest’ora e non
la conosceremo mai. Ma dobbiamo sentire che c’è un’ora, un’ora
in cui può compiersi qualcosa, qualcosa che è importane nel
piano di Dio, anche se per noi umanamente è qualcosa di
piccolo. Ma se una cosa è importante nel piano di Dio, è una
cosa grande.
Quindi sapienza di Dio, cuore nella sapienza di Dio, ora
delle cose che appartengono a Dio e che divengono anche
nostre, perché noi possiamo vivere il nostro tempo
riscattandolo per Dio.
(Trascrizione da registrazione)
2014
I° Venerdì di Quaresima (Omelia
del Vescovo Claudio Maniago)
Ecco quello che ci è stato detto della Quaresima il mercoledì delle ceneri: tempo di grazia e di un dono che riceviamo.
Lontano da noi quindi l’idea di una quaresima in cui ci si debba fare del male, per espiare forse chissà quali colpe; quanto piuttosto, questa è la vera penitenza, un tempo favorevole per renderci conto ed essere consapevoli, prima che del nostro peccato - forse esperienza facile - di chi siamo noi e che cosa siamo noi per il Signore.
Quale è la nostra vocazione battesimale? Perché noi non ci diciamo cristiani, ma lo siamo. Lo siamo per un rito preciso con cui siamo entrati in una realtà e quindi in un rapporto con Dio: appunto l’iniziazione cristiana. In base a questa relazione con Dio e con gli altri fratelli e sorelle che vivono l’esperienza della Chiesa, della comunità del Signore, come io devo allora comportarmi? E’ allora lì certamente anche la conversione, il cambiamento, il riprendere in mano la propria vita, ma prima di tutto tempo favorevole per renderci conto di qual è la speranza, la bellezza della nostra vocazione cristiana.
Che cosa vuol dire essere cristiano? Non apparteniamo ad una associazione pur nobile e con fini sicuramente eccezionali, noi apparteniamo ad una famiglia, a un corpo, qualcosa di più decisivo ed importante; qualcosa che ci coinvolge in modo veramente nuovo, perché nuova è la proposta, l’alleanza che il Signore ci ha donato.
Quindi un primo punto all’inizio di questo cammino quaresimale: rendiamoci conto, riprendiamo in mano la bellezza di questo nostro rapporto con Dio e con i fratelli.
Un altro aspetto dalla parola di Dio che oggi ci viene rivolta, è che intanto dobbiamo essere persone sincere, e questo forse lo comprendiamo bene: dove la sincerità è autenticità. E dare autenticità non solo alle parole che diciamo, ai concetti che esprimiamo; cioè le parole che diciamo siano corrispondenti non solo ad un pensiero, possibilmente, ma almeno a qualcosa che sentiamo davvero, di cui siamo convinti. C’è un’autenticità del nostro vivere che deve essere recuperata per la nostra dignità, intanto di uomini e donne e poi soprattutto in quanto cristiani. L ‘autenticità che ci fa compiere gesti veri, ci fa dire parole vere, ci fa intraprendere relazioni vere e quindi giuste. E’ questo infatti che ci viene chiesto in questa bellissima pagina del profeta Isaia in cui proprio quando si va a parlare - siamo in quaresima - del digiuno, si dice con chiarezza che è inutile fare tante scene, se poi i nostri comportamenti tradiscono un altro modo di pensare e di vivere; un gesto anche semplice ha valore se corrisponde a una scelta di vita.
Chiediamo al Signore questa autenticità. Che vogliamo chiedere prendendo spunto dal vangelo, che paradossalmente oggi sembra dirci che non dobbiamo digiunare, e siamo al primo venerdì di quaresima, ma chiaramente nella logica della parola che è stata proclamata, non è questo quello che il Signore dice.
Ben venga anche il digiuno, se questo è un segno importante, se è un segno di qualcosa che conta davvero nella nostra vita e soprattutto che non sia - Gesù aveva davanti a se uno scenario ben preciso - un atteggiamento ipocrita, cioè un atteggiamento, e qui vogliamo giocarci in prima persona, che ci veda impegnati in tanti piccoli o grandi impegni, atteggiamenti personali o comunitari in questa quaresima, ma che a questi atteggiamenti appunto non corrisponda poi un desiderio, il desiderio di rinnovarsi, un desiderio di prendere coscienza davvero di ricominciare, se volete di convertirci ancora di più, sempre di più.
Quindi vogliamo essere persone che vivono con intensità la quaresima, non perché fanno tante cose, magari strane, ma perché soprattutto faranno gesti che dicono il desiderio, il nostro desiderio di viver sempre più secondo la bellezza della nostra fede.
(Trascrizione da registrazione)
II° Venerdì di Quaresima (Omelia del Vescovo Claudio Maniago)
Una delle tentazioni su cui dobbiamo riflettere in questa quaresima e tenere presente per cambiare il nostro impegno e la nostra vita di fede, è quella che rischia di relegare o di farci relegare l’esperienza di fede ai margini della nostra esistenza, quasi che fosse un riferimento ad un mondo bello, ma così poco concreto, così poco realizzabile che rimane soltanto un sogno, un sogno a cui ricorrere quando siamo angosciati, disperati, affaticati dalla vita vera, reale di tutti i giorni.
Ma quello che è venuto ad annunciarci il Signore, ecco perché dobbiamo cambiare e vincere la tentazione, non è qualcosa di evanescente e di astratto, non è un sogno, che rimane tale e non può realizzarsi, ma un autentico progetto di vita: questo è il Vangelo.
E’ quanto il Signore, Lui, ci ha proposto e ci propone attraverso la sua presenza in mezzo a noi, una presenza reale, viva, vera; è qualcosa di molto concreto e tocca la nostra vita e vuole trasformare questa nostra vita.
Sarebbe davvero una realtà da convertire sempre di più ed in maniera sempre più profonda quella che distingue in noi due piani: uno quello della vita comune quotidiana, e l’altro quello della fede o di questa sorta di piccolo recinto in cui ci rifugiamo quando siamo in difficoltà. Invece no: il Signore vuole che la nostra vita, questa nostra vita sia nuova, diversa. Vuole che esploda di tutte quelle realtà belle e importanti di cui è capace. Ed è possibile. Questo è venuto a dirci il Signore: è possibile cambiare. E’ possibile che questa nostra vita cambi, non abbandonandola, ma davvero convertendola, trasfigurandola: è questo l’impegno tutto particolare che noi viviamo in quaresima. Allora tante espressioni che vengono dalla Scrittura non sono soltanto parole che ci vengono offerte, non sono solo delle belle parole, tanto belle da essere poco realizzabili nella concretezza, ma al contrario sono delle autentiche provocazioni, quasi che il Signore con la sua parola venga a dirci: prova, seguimi, cambia, vedrai, vedrai.
Noi ci crediamo: per questo vogliamo vivere la quaresima con intensità.
Crediamo che quando il Signore ci invita ad una giustizia che non vuole la morte o la condanna del peccatore e basta ma la sua conversione, la sua vita, da qui davvero scaturisce un modo, uno stile e, perché no, anche un impegno nella società civile di altissimo valore, quel valore di cui credo tutti sentiamo fortemente il bisogno: dare un senso nuovo alla convivenza civile. E allora dobbiamo accogliere quel brano del Vangelo; mi permetto di sottolineare solo una piccola espressione, perché è la chiave di tutto. Dobbiamo accogliere la parola del Signore come una parola che non ci vuole sradicare dalla vita, ma ci vuole aiutare a vivere quella bellezza che nella nostra ordinarietà è spesso nascosta, ferita, talvolta anche brutalmente annullata. Allora portiamoci nel cuore, come il Signore, che pure si rifà a quanto di buono, agli istinti buoni che nel cuore di ciascun uomo sicuramente ci sono, per dirci però: ”Ma Io ti dico”. Ecco l’annuncio del Vangelo! E’ quel “Ma io vi dico” che dobbiamo tenerci sempre nel cuore, perché allora di fronte a ogni evenienza della nostra vita noi sentiremo il Signore dirci “Sì, ma io ti dico”. E nella nostra quotidianità, con tutte le sue piccole o grandi difficoltà potremo sentire di nuovo questa parola che ci dice: “Ma io ti dico”. Un’espressione che ci apre orizzonti di speranza e quindi di grande consolazione.
(Trascrizione da registrazione)
III° Venerdì di Quaresima (Omelia del Vescovo Claudio Maniago)
La pagina della Scrittura che abbiamo ascoltato dal Libro della Genesi, l’episodio cruciale della vita di Giuseppe e dei suoi fratelli, non possiamo leggerlo soltanto in questo nostro cammino quaresimale come una finestra sulla miseria umana che arriva a tradire tutto, a vendersi tutto; addirittura anche i legami di sangue. Non c’è bisogno, si direbbe, di insistere su questo perché siamo circondati ancora, in questo tratto della storia dell’umanità, da esempi e situazioni che possono rifarsi tranquillamente a questo scandalo e forse, per certi, versi addirittura superarlo.
Quello che invece per noi, in questo venerdì di Quaresima, arriva come Parola del Signore è che a fronte di un’umanità che, non solo apparentemente, ma concretamente è così lontana da Dio, così lontana da quella che è la sua legge - e gli esempi si possono moltiplicare - noi invece cantiamo, anche se lo abbiamo solo recitato, con il salmo responsoriale: “Ricordiamo Signore le tue meraviglie”.
Che cosa vuole dirci allora il Signore? Innanzi tutto vuol dirci che noi, la Chiesa, i credenti vivono nel mondo, un mondo che ancora deve manifestare la grandezza del regno di Dio, ancora deve far risplendere la bellezza del progetto meraviglioso di Dio, ancora è toccata dal peccato, dal faticoso cammino verso la conversione; però il cammino è possibile, il cammino è possibile perché il Signore, Lui fa meraviglie, e le fa anche aldilà di quelli che possono essere meriti, anche aldilà di quelli che possono essere peccati, i nostri peccati: Il Signore fa davvero meraviglie.
E questo perché davvero il Signore è grande nell’amore, di un amore che si manifesta soprattutto con quello che noi umanamente chiamiamo pazienza, perché Dio è davvero paziente. Lo è davvero, lo è anche di fronte a situazioni che umanamente parlando non prevedono, non vogliono, non esigono pazienza, ma al contrario giudizio, pena, intervento, condanna.
Dio invece, Dio ricco di misericordia, è paziente, ed è proprio in questa pazienza che sta la nostra speranza, è in questa pazienza che sta la misericordia di Dio e la nostra esperienza della misericordia di Dio, e quindi anche la nostra possibilità di cambiare. Sì, perché dobbiamo cambiare, dobbiamo crescere, dobbiamo migliorare. La nostra chance viene proprio dalla pazienza di Dio, la pazienza che ha portato Gesù in croce. Certo per il Padre vedere Cristo, il Figlio, in croce è stato davvero il culmine della sua pazienza. Dio è davvero misericordia senza fine.
Affidiamoci allora e confidiamo nella pazienza di Dio; ma viviamola come dono che ci chiede l’impegno quotidiano, nelle piccole cose di tutti i giorni, a vivere davvero l’impegno a cambiare, a vivere l’impegno a cambiare le relazioni, i nostri modi di essere, di rapportarci agli altri, di pensare e vedere e giudicare il mondo intorno a noi. Davvero lo sguardo della fede dovrebbe portarci a leggere, a pensare e a considerare le cose in modo diverso.
Possiamo impegnarci a questo, dobbiamo farlo proprio accogliendo la grande pazienza di Dio per tutti e quindi anche per noi.
(Trascrizione da registrazione)
IV° Venerdì di Quaresima (Omelia di: Mons. Giancarlo Corti)
L’invito che abbiamo ascoltato dalle parole del Profeta Osea nella prima lettura, “Torna Israele al Signore, tuo Dio”, è l’invito che ci raggiunge, in questo periodo di Quaresima, giorno dopo giorno nella Liturgia: “Ritornate al Signore, ritornate al Signore”. E questo invito che il profeta Osea rivolge a Israele, è rivolto a noi attraverso Gesù, il Crocifisso.
Oggi è un venerdì di Quaresima e, in maniera particolare nei venerdì della Quaresima, siamo richiamati a contemplare, a sostare davanti alla croce di Gesù. E’ dal Crocifisso che noi riceviamo l’invito: “Tornate, tornate” e quest’invito non è umiliante, ma è la strada aperta, è la porta aperta del Cuore di Dio, affinché sempre ogni uomo e anche ciascuno di noi, possiamo accogliere l’invito e sperimentare di nuovo il rapporto di vita, di amore con Dio, il nostro vivere da figli. Ritornate.
E il Profeta Osea, parlando al popolo di Israele, dice: ritornate rendendovi conto di quello che siete, di quello che avete scelto, di quello che avete fatto. Togliete l’iniquità, non offrite più animali; torna al tuo Dio. E così anche noi: dobbiamo prendere coscienza di quello che siamo, di quello che abbiamo scelto, di quello che viviamo e delle prospettive di vita che noi ci prefiggiamo. E vediamo che ci sono ancora motivi di oscurità nella nostra vita, e allora che dobbiamo fare, rimanere fermi? Piangere su noi stessi? Continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto fino ad ora?
Dice il Profeta: ”Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro”.
Troviamo la guarigione. Troviamo la vita, ritroviamo la vita; ci è donata di nuovo la vita, ed il profeta descrive questa vita anche con un linguaggio poetico, legato alla natura, ma bello. Israele avrà una rugiada che farà rifiorire come un giglio, metterà radici come un albero del Libano - cose belle, cose importanti - avrà la bellezza dell’olivo, la fragranza del Libano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino; cose buone, come il vino del Libano. Ecco, la nostra vita davanti al Signore, se noi ritorniamo a Lui, riprende vigore, riprende bellezza, riprende la gioia di essere redenti, salvati da Cristo, resi in Cristo Figli di Dio.
Allora ecco che il Vangelo ancora ci dice non più ritornate, ma ascoltate. Che cosa si ascolta? si ascolta quello che è il comandamento più grande, quello che riassume tutto: Ama Dio con tutto te stesso, ama il prossimo come te stesso.
Sta per iniziare la giornata, anzi la festa della Riconciliazione, così come la chiamata il Papa, da oggi alle 17 fino alle 17 di domani sabato. Alla Badia troveremo il SS. Sacramento, la presenza reale ad accoglierci, a farci compagnia e noi fare compagnia a Lui, e soprattutto la possibilità del Sacramento della Riconciliazione: prendere coscienza di quello che siamo per ritornare al Signore, per essere da Lui accolti ed amati.
(Trascrizione da registrazione)
V° Venerdì di Quaresima (Omelia del Vescovo Claudio Maniago)
Se l’Antico Testamento è, e lo sappiamo, ombra e annuncio quello che poi si realizzerà in pienezza con la venuta, la vita, la morte e la resurrezione di Gesù, è chiaro che la pagina della Sapienza che abbiamo ascoltato oggi - una pagina di una violenza piuttosto forte che si esprime verso il Giusto, così è annunciato colui che doveva incarnare in qualche modo la giustizia di Dio - appunto questa pagina lo preannuncia; ed è chiaro che chi la aveva nelle orecchie, incontrando l’esperienza e la vita di Gesù, ha incontrato la pienezza della realizzazione di questa pagina.
Perché in effetti la vita di Gesù, noi dobbiamo ascoltarla dalle pagine del Vangelo, è una lunga sequenza di un pellegrinaggio che Gesù fa nella sua vita, nel suo ministero, in quei tre anni di evangelizzazione che porta avanti; pellegrinaggio corredato da tantissime obiezioni, opposizioni, violenze e addirittura diversi tentativi dice il Vangelo, di mettergli le mani addosso e addirittura oggi sappiamo che il Vangelo parla di chi lo voleva sopprimere per quello che Lui era, certo, ma ancora di più per quello che lui diceva.
Quindi davvero è il Giusto Gesù, il Giusto di cui parla la Bibbia, il servo di cui parla la Bibbia, direbbe Isaia, un giusto, un servo che non viene annunciato come il trionfatore, come il grande re che viene accolto trionfalmente, ma al contrario come colui che trova opposizione indifferenza, persecuzione, minaccia.
Questa opposizione non ha fermato certo Dio, non ha fermato Gesù dal vivere nella sua dimensione ministeriale, dal vivere fino in fondo, nella sua incarnazione, questa tensione. Non ha tirato indietro, direbbe la scrittura, il suo volto di fronte ad alcun tipo di percossa o di oltraggio, non ha fatto un passo indietro Gesù; questo percorso, questa sua via che sappiamo essere una via che porta alla croce, Gesù l’ha vissuta in pienezza e con consapevolezza, con una generosità che per noi risulta essere addirittura sorprendente.
Cosa dice a noi in questo cammino quaresimale questa parola? Che
cosa vuole dirci il Signore? Vuole forse stimolare la nostra
compassione? Non è quello di cui ha bisogno il Signore. Ma Lui,
il Signore vuole suscitare, rafforzare, rinnovare la nostra
fede, cioè il nostro credere in lui e a fidarci di lui: Lui che
non ha tirato indietro il suo volto, Lui che non ha fatto un
passo indietro pur di continuare a testimoniare e a vivere una
presenza in mezzo a noi che fosse annuncio di nuova vita, di
liberazione, di salvezza per tutti e in particolare, abbiamo
pregato con il salmo, per chi ha il cuore spezzato. Non è niente
di sentimentalistico, ma che vede nel cuore, nucleo fondamentale
da cui scaturisce la vita, di chi vede la propria vita spezzata,
oltraggiata e spesso dileggiata.
Allora anche noi siamo invitati a vivere questo rinnovamento
quaresimale, proprio come un sorprenderci con gioia della
passione di Gesù per noi, passione che lo ha portato sulla croce
e che vuol dire amore: un amore grande, appassionato, un amore
fedele che non tradisce.
Questo deve sorprenderci e alimentare la nostra fede, che si traduce poi in un cambiamento di vita. Perché anche noi siamo chiamati a cambiare, a migliorare, a cercare di non essere come la gente al tempo di Gesù, persone che ignorano Gesù, persone che lo oltraggiano, che cercano di eliminarlo, di farlo fuori dalla propria vita; ma al contrario persone che lo accolgono come compagno del cammino, che lo accolgono come compagno di vita, persone che lo accolgono come il Signore, come colui che può dare senso e salvezza alla nostra esistenza. Allora quaresima sarà davvero rinnovamento se noi riusciremo a vivere con maggior consapevolezza e intensità questo nostro rapporto con il Signore, purificando la nostra vita di fede da tanti orpelli che, forse più che favorire il nostro rapporto con Lui, ce lo appannano o lo rendono addirittura infantile.
(Trascrizione
da registrazione)
VI° Venerdì di Quaresima (Omelia del Vescovo Claudio Maniago)
Ci stiamo avvicinando a grandi passi verso la settimana santa e ancora più, nel cuore della settimana santa, al triduo pasquale, dove ogni credente in Cristo trova in qualche modo il culmine del proprio cammino di fede; ed anche la fonte da cui ripartire, confermato e rinnovato. Momento quindi importante, non solo come festa del calendario, ma ancor più come tappa di un cammino. Per un credente, davvero la Pasqua annuale è un riferimento importantissimo. Per questo dobbiamo farci guidare e prepararsi; per questo la quaresima è davvero una grande scuola, una grande opportunità. Con la parola di Dio che tutti i giorni ci viene offerta, soprattutto attraverso la Messa, si viene condotti per mano all’interno di questo mistero della Pasqua, mistero che dice non qualcosa di nascosto, ma al contrario qualcosa che si manifesta, qualcosa che ci sorprende, ci supera. La Pasqua è qualcosa che ci sorprende e ci supera perché il Dio di cui Gesù Cristo è venuto a mostrarci il volto, è un Dio misericordioso, un Dio che si china su di noi, un Dio che perdona, un Dio che ci accoglie così come siamo, un Dio che ci considera preziosi. E per dimostrarci questo c’è la sua vita, la vita di Gesù. E’ proprio questo, fino al culmine che è la sua morte in croce; fino alla risurrezione che è il sigillo di questa vita.
Allora anche oggi in questo brano di Vangelo così duro, così crudo, in cui Gesù è a discutere con delle persone che non gli contestano di essere un brav’uomo, non gli contestano neanche i miracoli, non gli contestano neppure la predicazione, almeno fino ad un certo punto. Gli contestano perché lui si dice Dio, Figlio di Dio: questo proprio no, è insopportabile.
Ed è forse proprio questo lo scandalo più grande; lo scandalo più grande della nostra fede cristiana che ci porta a credere in Gesù, Figlio di Dio: non a credere in alcuni valori, ma a credere in Lui, in Gesù, il Figlio di Dio.
Se noi davvero crediamo, ed è questo il culmine del Vangelo di oggi - “molti credettero in lui” -, se noi crediamo nel Signore crediamo in un Dio che è morto e risorto per noi.
Crediamo allora in un Dio per il quale vale la pena spendere la propria vita e giocarsela anche con tutto quello che è il progetto che il Signore stesso è venuto a mostrarci e a rivelarci. Allora vale la pena anche affidarsi a quello che è il progetto del Vangelo, vale la pena davvero credere in questo Gesù e vivere e spendere la nostra vita come lui ci insegna. Vogliamo allora accogliere in questa pagina del Vangelo, ripeto così dura, un segno importante che non deve far sorgere in noi segni di timore, di paura, e neanche forme di compassione nei confronti del Signore. Lungi da noi avvicinarsi alla Pasqua con sentimenti che poco si addicono a un cristiano. Noi non siamo chiamati a compatire Gesù.
Noi siamo chiamati a comprendere, a meravigliarci di questo Gesù che ci mostra un volto, certo un volto sofferente, un volto che sarà offeso fino alla morte, ma proprio per questo così eloquente di un amore grande, di una misericordia grande, che perdona, che ha quella misericordia di cui abbiamo tutti bisogno. Allora davvero Lui è il Signore in cui possiamo credere, gettare la nostra speranza; davvero le sue parole sono spirito vita. Certo perché in Lui possiamo davvero affidare, il nostro grido, il grido della nostra vita, delle nostre sofferenze, delle nostre povertà, è ascoltato.
In lui trova compimento l’aspirazione più profonda della nostra esistenza; le aspirazioni più sane e più buone della nostra esistenza in Lui trovano la risposta.
Questa è la Pasqua del Signore: una memoria viva e vivificante. Così vogliamo preparaci a viverla con intensità perché la nostra vita possa cambiare, trasfigurarsi, diventare sempre più riflesso di questo meraviglioso progetto di Dio su di noi.
(Trascrizione da registrazione)